Este Direito Civil – Relações Obrigacionais: o sistema das obrigações, contratos e responsabilidade civil em chave civilizatória constitucional e de direitos humanos, de Pietro Nardella-Dellova, o segundo de 5 volumes de Direito Civil do autor, é um estudo introdutório e fundamental para a compreensão das Ciências Jurídicas e Sociais.
Dizer “direito civil em chave constitucional” não indica uma simples hermenêutica hierárquica, mas um Direito Civil que nasce com fundamentos na Constituição, irradiando-se em relações civilizatórias. Não é aceitável pensar em um Direito Civil isolado ou fechado no rudimentar núcleo civilístico. Hoje, fala-se de um Direito Civil, sobretudo nas relações obrigacionais (objeto deste volume), que vive e respira constitucionalidade, direitos pétreos e direitos humanos.
A pessoa deixa de ser simples sujeito de direito para elevar-se à altura de pessoa humana com dignidade e de centralidade nas mais variadas áreas jurídicas.
Os microssistemas, legislações civis e decisões judiciais relacionados às obrigações, contratos, atos ilícitos, função social dos contratos e da propriedade, responsabilidade civil, impenhorabilidade, pessoa consumidora, igualdade e emancipação da mulher, criança, adolescente, pessoa idosa, homoafetividade, pessoa com deficiência, assim como, às relações familiares socioafetivas, adoção, reconfiguração do poder dos pais, ao biodireito, e muito mais, demonstram que o Sistema de Direito Civil tradicional, sobretudo, o Código Civil, é insuficiente. São experiências sociojurídicas que, para além do sistema civilístico, objetivam um novo e vigoroso sistema de Direito Civil civilizatório.
Trata-se, assim, de um Direito Civil que em nada perde sua característica sistêmica de disciplina das relações horizontais. Ao contrário, ganha força, robustez, sentido, profundidade, eticidade e dignidade no âmbito e fontes constitucionais e humanistas. É o caminho irresistível do devir e da perfectibilidade das relações civilísticas, isto é, civilizatórias.
Este livro, organizado em 4 Partes: I – Constituição, Direitos Humanos e Direito Civil para um Sistema de Direito Civilizatório; II – Obrigações Jurídicas; III – Teoria Geral dos Contratos; IV – Responsabilidade Civil, é a proposta de um Direito Civil que rompe a dicotomia público-privado e propicia a humanização das relações jurídicas.
Enfim, atualmente, não deve (ou não deveria) ser difícil apreender parâmetros constitucionais e civilizatórios para o Direito Civil, mantendo, contudo, sua estrutura sistêmica. Esperamos, com a publicação desta obra, alcançar nosso objetivo.
La Shoah è sempre stata considerata un evento senza precedenti nella storia ebraica. Sono trascorsi quarant’anni da quando il Prof. David Roskies, docente di cultura yiddish al Jewish Theological Seminary di New York, pubblicò Against the Apocalypse. Attraverso una ricca e documentata ricerca di fonti tradizionali e non, questo autore ha collocato l’Olocausto e la letteratura di sommersi e salvati nel contesto di generazioni di risposte ebraiche a drammi, persecuzioni e pogrom.
Se il suo è un lavoro scientifico, non è stato in realtà il primo a proporre una visione del genere. Essendo la nostra storia un susseguirsi di eventi men che lieti, non abbiamo mai perso l’abitudine di confrontare le catastrofi fra loro, talvolta includendo nel novero persino tragedie sventate. Un esempio classico è legato alla liberazione dalla schiavitù egiziana, di cui leggiamo nella Parashah di questa settimana. Scrivendo la Haggadah di Pessach i nostri Maestri paragonano il Faraone all’arameo Lavan che avrebbe coltivato il proposito di ucciderci tutti, laddove il primo si limitò a decretare la soppressione dei soli figli maschi.
Peraltro Lavan fu trattenuto da D. stesso e dovette accontentarsi di esercitare un’azione di stalking nei confronti di suo genero Ya’aqov. Gli fece credere di avere buoni sentimenti per poi passare alle minacce; lo insultò, indebolendo la considerazione che la vittima ha di sé; si vantò della sua forza, dicendo che solo D. lo avrebbe fatto recedere da propositi peggiori. Infine espresse la convinzione che Ya’aqov, le mogli e i figli di questi fossero sua proprietà in quanto schiavi (Bereshit 31, 27-29). Tutto estremamente grave, ma nulla di paragonabile a uno sterminio. Ringraziamo D. perché ci risparmia ogni volta cose peggiori!
Molti osservatori non resistono alla tentazione di mettere i pur terribili fatti dei 7 ottobre sullo stesso piano della Shoah ma il paragone, con tutto il rispetto per i nuovi martiri e gli ostaggi, non regge. È necessario richiamare le forze politiche e culturali che dell’antifascismo si fanno scudo alle loro pesantissime responsabilità nell’appoggiare oggi in modo acritico la causa di terroristi e criminali, ma sull’altra sponda – giova ricordarlo – rispuntano i saluti romani: la Shoah e il 7 ottobre restano nella nostra memoria e coscienza due argomenti distinti.
Non solo non è dato confrontare la tragedia di un giorno con quella perpetrata per anni. Allora eravamo senza patria, oggi grazie a D. ce l’abbiamo e lottiamo per difenderla e mantenerla, a onta dei nostri nemici di qualsiasi colore. Questo è ciò che conta. Se nel frattempo “la vecchia signora ha mutato pelliccia”, tuttavia, ciò non ci autorizza in alcun modo ad archiviare come dismesse le vecchie fogge.
L’antisemitismo, comunque, riaffiora. Innegabilmente la stessa logica che nel 1938 portò alla promulgazione delle leggi razziste in Italia muove ora le menti di chi demonizza Israele: come se nei confronti di noi ebrei fosse del tutto consentita una diversa formulazione del diritto. Crimini che comunemente vengono condannati senza dubbio né indugio, nel nostro caso si pretende di “contestualizzarli”. Sulla bocca di molti correligionari torna dirompente la domanda: perché tutto questo? È il may kulley hay della tradizione talmudica. La risposta che questa dà al secolare problema è lapidaria: “L’odio di Esaù per Ya’aqov è Halakhah!” (Rashì a Bereshit 33, 4). “Halakhah” significa che è un odio senza motivo.
Quattro ragioni spingono i popoli al combattimento e alla violenza:
1) misurare la propria forza,
2) portar via ricchezze e risorse,
3) impadronirsi di un territorio,
4) imporre la propria religione.
‘Amaleq nipote di Esaù (Bereshit 36, 12) ci assalì senza alcuno di questi presupposti: eravamo nel deserto, “indeboliti” economicamente, reduci “stanchi e sfibrati” dalla schiavitù egiziana, mentre egli “non aveva timor di D.” (Devarim 25, 18 e Malbim). Gli antisemiti hanno fatto di volta in volta uso di una o più di queste accuse contro noi Ebrei, ma non si è mai trattato più che di semplici scuse. Essendo un odio immotivato, non ha soluzione. Soprattutto è un odio profondo, che non si presta a essere indorato o rivestito.
L’unico modo sensato per affrontarlo è rimaner fedeli a noi stessi: distanziarci dai comportamenti di Esaù e aderire alle tradizioni del nostro popolo, alla Torah e alle Mitzvot.
Sul piano antropologico il fenomeno è più complesso, naturalmente. Nel suo saggio Sul sacrificio (La Giuntina, Firenze, p. 30), Moshe Halbertal scrive riportando René Girard (La violenza e il sacro, Adelphi, Milano, p. 59 sgg.): “La violenza praticata sulla vittima sacrificale scarica una rabbia violenta su un bersaglio che è vicino al reale soggetto della violenza e tuttavia ben lungi dall’essere ad essa legato.
Così un aspetto è soddisfatto, mentre l’altro non è spinto alla ritorsione. È cruciale, secondo Girard, scegliere una vittima adatta – tale che sia al contempo abbastanza vicina e lontana da potere servire da capro espiatorio… Se la vittima è troppo distante dal reale soggetto, è incapace di spostare la rabbia.
Se la vittima è troppo vicina, il soggetto reagirà e la violenza sacrificale non interromperà il ciclo, ma contribuirà piuttosto alla sua diffusione”. Se sul piano individuale la spirale di violenza fra gli uomini si arresta solo deviandola su un animale innocente che non ha capacità di ritorsione, sul piano collettivo occorre trovare un gruppo che si presti all’uopo in seno alla società.
Detto in altre parole ciò che si registra in ambito religioso per un soggetto peccatore, avviene anche nel contesto socio-politico allorché un regime, perlopiù autoritario, necessita di scaricare la responsabilità dei propri fallimenti. Prendere di mira i propri concittadini a pieno titolo si ritorce contro il regime stesso, mentre attaccare un nemico esterno che di quella società non fa parte manca l’obiettivo.
L’ebreo, in quanto “straniero e residente” (Bereshit 23, 4) a un tempo, assolve pienamente allo scopo. Ciò spiega due cose:
1) perché antisemitismo faccia spesso rima con dittatura: la sua insorgenza indica che le democrazie versano a rischio;
2) perché il fenomeno trovi talvolta riscontro anche fuori dal mondo cristiano e musulmano nel quale si aggiungono radici teologiche specifiche. La giustificazione sacrificale vale inoltre a motivare come un odio così viscerale nei nostri confronti possa essere maturato proprio in un contesto religioso e ispirato, che ci aspetteremmo immune da simili atteggiamenti. E soprattutto lava la coscienza dei colpevoli.
Con la nascita della Medinat Israel, l’antisemitismo, lungi da scomparire, si è trasformato in antisionismo: lo stato ha preso il posto del singolo e della comunità. C’è un passo della nostra letteratura che anticipa l’argomento con decisione ed è il commento del Maharal di Praga al brano della Haggadah relativo a Lavan già citato.
Come è noto, per Maharal “la creazione intera è sotto il segno della dualità, della contestazione, della lacerazione… D. e l’uomo, il Creatore e l’universo, il cielo e la terra, l’aldilà e il mondo di quaggiù sono queste alcune delle polarità…” (A. Neher, Il pozzo dell’esilio, Marietti, Torino, p. 27). A loro volta Israel e le altre nazioni rappresentano rispettivamente, scrive Maharal, l’antitesi fra metziut (“essenza”) e he’der (“assenza”) in termini di valori.
L’antitesi provoca opposizione, nella misura in cui la “assenza” (Lavan l’arameo) aspira a cancellare ogni “essenza” (Ya’aqov) svuotandola a propria “immagine e somiglianza”. Denunciandoci per genocidio alla corte dell’Aja il paese dell’apartheid invita le nazioni europee, facendo leva su Gaza, a sgravarsi definitivamente dell’insopportabile fardello della Shoah, dicendoci: “Anche tu sei come uno di loro” (’Ovadyah v. 11). “Ma il S. B. ci salva dalle loro mani”.
“Per tre crimini di Gaza, ma specialmente per il quarto non la lascerò impunita” (’Amos 1, 6). La Parashah di questa settimana esordisce parlandoci del cuore del Faraone, indurito da D. in occasione delle ultime piaghe. Come è possibile che il D. di misericordia lo abbia costretto nel precipizio? Secondo due commentatori veneziani del Seicento, R. Eliezer Ashkenazì e R. ’Azaryah Picho, D. conosce il pensiero distorto del Faraone e sa che è questi a non credere nel libero arbitrio. Il re d’Egitto ritiene che non sia da prendere in considerazione un D. che domandi di ascoltare la Sua voce (cfr. Shemot 5, 2) anziché comandare le Sue volontà in modo assoluto e autoritario. “I beffardi Egli sbeffeggia” (Mishlè 3, 34): è arduo, se non impossibile, avviare trattative diplomatiche con chi sprezza come debole chiunque ricorra al dialogo e al negoziato. L’Occidente, prima o poi, se ne dovrà avvedere. Che D. ci assista!
Este livro de Direito Civil – Teoria Geral do Direito Civil é publicado em caráter introdutório para estudos do Sistema de Direito Civil em chave constitucional.
Dizer “direito civil em chave constitucional” não é para simples (e necessária) hermenêutica hierárquica, mas para um Direito Civil que nasce com fundamentos na Constituição, irradiando-se em relações civilizatórias.
No 20º ano de vigência do Código Civil de 2002 e no 35º de promulgação da Constituição Federal de 1988, não é aceitável, e não é racional nem inteligente pensar em um Direito Civil isolado ou fechado (isso lembraria o mito da caverna de Platão). Hoje, referimo-nos, com inteligência, racionalidade e discernimento, ao Direito Civil que vive e respira constitucionalidade, direitos pétreos e direitos humanos.
Vejamos. Os microssistemas, legislações civis e decisões judiciais relacionados à igualdade e emancipação da mulher, aos direitos da personalidade, ou à pessoa consumidoras, criança, adolescente, homoafetiva, idosa, com deficiência, convivente e, também, à impenhorabilidade, relações familiares, adoção, função social dos contratos e da propreidade, responsabilização por danos morais (e perda de chance), reconfiguração do poder dos pais, biodireito, relações socioafetivas, não discriminação – e muito mais, demonstram que o Sistema de Direito Civil tradicional é insuficiente, sobretudo no Código Civil. São experiências sociojurídicas que, para além do sistema civilístico, objetiva um novo e vigoroso sistema de Direito Civil civilizatório.
Trata-se, assim, de um sistema de Direito Civil com fundamento constitucional e em direitos humanos que em nada perde sua característica basilar e sistêmica de disciplina das relações horizontais. Ao contrário, ganha ainda mais força, robustez, sentido e profundidade no âmbito e fontes constitucionais e humanistas.
Este livro (o primeiro de 5 volumes) está organizado em duas Partes:
I – Fundamentos Constitucionais e de Direitos Humanos para um Sistema de Direito Civilizatório além do Civilístico
II – Teoria Geral do Direito Civil: Pessoas, Bens e Fatos Jurídicos
O Plano geral em que os meus Estudos de Direito Civil foram pensados, desenvolvidos e escritos e que, agora, são oferecidos, de volume em volume, é:
Vol. I – Direito Civil – Teoria Geral do Direito Civil
Vol. II – Teoria das Relações Obrigacionais: obrigações, contratos e responsabilidade civil
Vol. III – Das Coisas, dos Direitos Reais e de seus Titulares
Vol. IV – Dos Núcleos Familiares e suas Relações
Vol. V – Das Sucessões
O Direito Civil desde as suas origens históricas e, em especial, após a Revolução Francesa, manteve um caráter privatístico, sobretudo nos sistemas codificados, com nítida separação entre público e privado.
Muitas matérias, entre as quais, o sujeito de direito, os bens, os fatos jurídicos, as obrigações e contratos, os direitos reais, as famílias e as sucessões, foram mantidas em um contexto de direito privado.
Porém, com o avançar do processo de constitucionalização, os direitos humanos foram se tornando direitos fundamentais, inseridos no texto constitucional como núcleo (imutável) do projeto constitucional de país como Estado Democrático de Direito.
No caso do Brasil, a Constituição Federal de 1988 abriu um universo de repercussão dos direitos fundamentais no direito privado, ora com aplicação imediata, ora como fundamento hermenêutico.
O Direito Civil nasce e se legitima na Constituição Federal e, em movimento dinâmico hermenêutico, carrega em seus dispositivos a substância constitucional.
É o Direito Civil em chave constitucional que rompe a dicotomia público-privado e propicia a humanização das relações jurídicas e, por isso mesmo, a pessoa deixa de ser simples sujeito de direito para elevar-se à altura de pessoa humana com dignidade com repercussões nas relações obrigacionais e de direitos reais, familiares e sucessórios.
Assim, os tópicos tratados neste livro, Pessoa, Bens e Fatos Jurídicos são as estruturas básicas do arcabouço civilístico geral como antessala especial, e ganham uma dimensão civil-constitucional, sobretudo, no que respeita às inegociáveis funções sociais do Direito.
Como dito acima, é um livro com caráter introdutório – e não um tratado. É livro, com limites editoriais, para iniciar uma jornada e preparar o leitor para as muitas estradas que se abrem, e para os muitos caminhos que se oferecem aos estudiosos das Ciências Jurídicas e Socias e áreas afins.
A minha satisfação e alegria consistem em colaborar com as sinalizações e orientações introdutórias para a formação jurídica contemporânea humanística, apontando especialmente para a alma de todo o Direito que é a humanidade, a pessoa humana, nacional ou migrante, na plenitude da sua dignidade, pessoa que não existe para o Direito, mas para quem o Direito existe, evolui e se humaniza.
Enfim, o que se espera nesta senda é avançar no sistema de Direito Civil e, muito além dos Institutos civilísticos, chegar aos fundamentos civilizatórios, como parece evidente se considerarmos a história jurídica brasil(eira), sobretudo, no campo do direito civil com as dificuldades em se tratar do tema por conta de usos e abusos de toda sorte ao longo do século XIX.
Foi muito difícil, após a Independência política do Brasil, chegar a um Código Civil (quase cem anos depois, em 1916) e, há 20 anos, às pressas, desengavetar e aprovar o antigo texto do presente CC/02.
Portanto, não deve (ou não deveria) ser difícil, atualmente, buscar e estabelecer parâmetros constitucionais, humanistas e civilizatórios para o Direito Civil, mantendo, contudo, sua dignidade histórica e sistêmica. É o caminho irresistível do devir e da perfectibilidade das relações humanas civilísticas, digo, civilizatórias.
Há bons motivos para dedicar um livro à descrição subsequente do judaísmo, do cristianismo e do islam. A razão mais óbvia reside na caracterização destas tradições como “religiões monoteístas”. Trata-se de um rótulo atribuído tanto em conversas cotidianas quanto no âmbito da Ciência da Religião. Não é incomum que o discurso não acadêmico sustente tal rótulo genérico pela afirmação de que os judeus, cristãos e muçulmanos acreditam no mesmo Deus e, por isso, são “almas gêmeas” no mundo espiritual.
É muita coisa (e pode ser muita coisa), menos o que a “comissão especial” (da Câmara) definiu no dia de hoje em face do Projeto de Lei n. 6583/2013 (Estatuto da Família). Aliás, como eu já disse em outra ocasião, especialmente, em Artigo para o Programa de Rádio, no Paraná (vide “Congresso Conservador Ameaça Direitos Conquistados”), o “parecer” da Comissão é um atraso, por si só, em relação ao Direito e, em especial, aos Núcleos Familiares. É um retrocesso ao século XIX. É atraso, muito atraso!
Eis um dos retrógrados Artigos do Projeto de Lei n. 6583/2013, aprovado pela Comissão:
(…)
Para os fins desta Lei, define-se entidade familiar como o núcleo social formado a partir da união entre um homem e uma mulher, por meio de casamento ou união estável, ou ainda por comunidade formada por qualquer dos pais e seus descendentes.
(…)
Obviamente que a definição da dita Comissão sequer pode prosperar (no processo legislativo), por várias razões socioeconômicas, mas, por duas legais, tanto de caráter constitucional quanto infraconstitucional, respectivamente, Artigo 5º, XXXVI da CF/88 e Artigo 6º da LINDB (apenas para citar os dispositivos mais expressivos):
“A Lei não prejudicará o direito adquirido, o ato jurídico perfeito e a coisa julgada”
Pois bem, já está decidido pelo STF e, portanto, é “coisa julgada”, a união entre pessoas do mesmo sexo como Núcleo familiar (desprezado, agora, pela comissão parlamentar e pelo Projeto de Lei n. 6583/2013). Qualquer nova lei não pode repercutir sobre este fato (social e jurídico). É coisa julgada e, mais, estabelecida no Direito que, não entenderam os parlamentares, não pode ser modificada. Não se tiram direitos! Além disso, o “projeto” passado pela Comissão não contempla outras famílias, por exemplo, as recompostas, famílias afetivas (por exemplo, filhos de criação), uniões plúrimas, entre irmãos e, ainda, de uma pessoa só, com visíveis impactos, se aprovado o parecer da comissão, sobre o patrimônio, especialmente, no que respeita à Usucapião e Impenhorabilidade do Bem de Família. Cito apenas o mais básico na ordem patrimonial. Há mais, muito mais, pelo ângulo Previdenciário, Trabalhista, Tributário, Civil, Processual Civil, Penal, Processual Penal, entre outros e, repetindo, CONSTITUCIONAL!
Por outro lado, a “comissão” quer alterar o texto da Constituição? Sim, pois sequer a CF/88, em seu Artigo 226, definiu que “família seja núcleo formado pela união entre homem e mulher”, aliás, nem casamento aparece na Constituição como “união entre homem e mulher”. O Constituinte de 1987 nem mesmo definiu família (o que fez bem, pois a ideia é aberta). Poderia a lei modificar a Constituição? Na cabeça dos mais retrógrados parlamentares, sim, já que desconhecem a Carta Magna! A CF/88 tratou, acertadamente, a família como base da sociedade (Art. 226), pois é mesmo, sem dispor de como pode ser formada, já que o mencionado Artigo é aberto e já foi objeto de profunda hermenêutica pelo STF, especialmente no que concerne ao alcance de tantas possibilidades.
Família é um setor com o qual o legislador não deveria se (pre)ocupar, pois não se trata de matéria legal (ou que possa ser quadrificada pela lei), mas, ao contrário, para além do alcance legislativo, trata-se de relações de afeto de caráter horizontal e plural. Quando muito, o legislador deve se ocupar com questões patrimoniais, a fim de garantir que os bens sejam protegidos. Não pode o legislador estrangular os Núcleos familiares, definindo “família”!
Sabe o legislador (e sua comissão) o que é “domus”? Sabe o legislador o que é “famulus” (palavra que designa a origem da família entre os romanos)? Sabe o legislador o que é família eclesiástica (medieval)? Sabe o legislador o que é família proletária? Sabe o legislador o que é família afetiva? Não! O legislador brasil-eiro nada sabe disso ou daquilo, apenas quer estabelecer no país seus dogmas “religiosos”, “equivocados” e “inconstitucionais”.
Enfim, o desvario parlamentar (que parece não ter fim na atual legislatura) anda fazendo estragos no Direito. Por quê? Porque lê o Direito como capítulos e versículos, mas o Direito poucas vezes é “capítulo”, aliás, poucas vezes é lei. E nunca, nunca mesmo, é versículo!
No outro dia, chegamos bem cedo aos arredores da Provincia di Napoli, bem perto do nosso antigo Quartiere Ebraico e da antiga Sinagoga Scuola (Ah, a Sinagoga Scuola!). Fomos entrando e meu filho vendo aquelas construções antigas, outras modernas, com flores nas janelas iluminadas pelo sol da manhã. Já havia alguma movimentação pelas ruas e ele ficou com os olhos arregalados por chegarmos ali. Deixamos, então, o carro em determinado lugar, e saímos caminhando pela Via Appio Claudio e Piazza della Republica. Meu filho olhava tudo em redor, aqueles terraços com roupas penduradas no alto, parecendo cantinas a céu aberto, quando atravessamos a Via Giambattista Vico, meu filho parou, emocionado, e disse-me:
– Babbino, estou sentindo aquele mesmo perfume do meu nonno neste lugar – que saudade!
Abracei-o sem dizer nada, e fomos a um bar, próximo ao Castello Baronale,pois aquele momento exigia mais um caffè na Piccola Caffetteria, e nas mesinhas da calçada, deixando o frágil sol sobre nossos rostos, porque estava muito frio, pedimos nosso macchiato.
Meu filho é de expressão aberta, e se está aborrecido vê-se em sua face, e quando alegre, seus olhos verdes brilham, sua pele fica iluminada e o sorriso fica estampado! Ele estava com os olhos vívidos, a face iluminada e o sorriso marcadamente estampado, e seu café à mão, olhando-me profundamente e vocalizando ‘O Paese d’ ‘o Sole. Pus meu café sobre a mesa e minha mão sobre seu ombro:
– Ecco figlio, das sementes que plantamos, recebi flores, árvores e frutos! Porém, a maior alegria é tê-las plantado, porque a vida fica por conta da simplicidade e vale mais, bem mais, que a existência. A vida é Poesia e música, caminho, encontro, planícies, ar. A existência é poema e barulho, estrada, distância, labirinto, gases sufocantes. E a violência feita contra um ser, qualquer ser, é feita contra todos e contra o Eterno!
O amor é mesmo semear atos de bondade! A sabedoria é nunca chamá-las de semente! E o coração é o universo onde a vida é privilegiada com Shalom. Ali não há gritos, mortes, violação – somente música, e serenidade, e lealdade, e afeto, e delicadeza! Se eu falhar, filho, não importa. Faça do seu coração o lugar com terra boa, e deixe flores nele, de todas as que se encontrarem, com variados perfumes e cores. Mas, não morra entre elas! Faça caminhos delineados, com pedras que durem e espalhe muitas placas, placas grandes, imensas, expressivas, em todos os cantos:
AQUINÃOSEMATA!
Caminhos largos para pessoas, porque, afinal, um jardim não é sem pessoas. E não se aborreça se elas criarem passagens entre flores, de terra socada apenas, para irem e virem, e estarem, porque essa é a vida de ser humano, abrir passagens – mas, não destruir o jardim. Não queira mais que isso! As borboletas e anjos ficam por conta do Eterno.
Transforme a vida numa casa, mas não use material descartável. Ela deve durar e trazer saudades, deve deixar lembranças, lançar raízes profundas e dar frutos. Abra janelas em todas as direções e erga um teto alto, que acompanhe o telhado, a fim de ter bastante ar e música espalhada como unção e bênção humanas.
Na casa, filho, tenha poucas coisas – mais pessoas. Nenhum negócio e muitos encontros. Entre coisas, prefira as simples, rústicas e duradouras. Entre pessoas, as plenamente humanas. E, entre elas, as mulheres, especialmente as que cheiram Poesia e possam ser chamadas “bênção de D’us”, pois os seus sentidos são desenvolvidos mais que em pessoas, o seu cheiro é mais agradável e quando abrem a boca, levam os Poetas para todos os mundos.
E não se esqueça do café – ele é vital. Feito, nunca por empregadas, em coadores de pano, e servido, nunca para apressados, em xícaras pequenas de ferro esmaltado. Tudo deve ser demoradamente vivido e visto, cheirado, degustado, escutado, falado e compreendido – nunca amanhã! Por isso, a sua casa deve ser o encontro de pessoas boas, coração e música, muita música! E Poesia, muita Poesia!
Deixe pra fora aquele que coisifica e faz do mundo um manicômio, da floresta um deserto, do rio uma privada química, do humano um escravo, de um Rabi um ídolo, dos lugares sagrados um mercado. Deixe para fora o que pisa em formigas, o que pesca por esporte, o que mantém cachorro na corrente e não lhe tira os carrapatos, o que atira contra aves, sobretudo, os que matam pequenos passarinhos ou os exibem em gaiolas – com estes nem cumprimentos! Deixe fora, quem amaldiçoar crianças (sobretudo, no ventre) e desprezar idosos (inclusive aos asilos) e se chamar geração espontânea.
Deixe fora o que ama hambúrguer e o necrófago – que fotografa e filma demais, incessante e desesperadamente, e o que se põe à mesa como que diante do cocho – e ama maledicências e lashon hará, e ama celular e noites de Internet, e ama carros, e dinheiro, o necrófilo que ama fita pornô, principalmente, pedófilos, ainda que virtuais.
Aliás, deixe fora o que ama qualquer coisa e despreza o humano e o Eterno, sobretudo, o íncubo opressor, preconceituoso, prepotente, corporativista, agiota, banqueiro, latifundiário, traficante, legalista, pedófilo, sádico, mercenário, imperialista, nazista, fascista, antissemita, terrorista, torturador, carrasco (e qualquer vampiro e parasita) e, ainda, o súcubo covarde, invejoso, voyeur, masoquista, fanático, racista (negro ou branco), monarquista, republicano caffellatte, getulista, militarista, antiético, traidor, que abraça e ri o riso odontológico, sem razão, e não olha nos olhos. O mentiroso, carlista, malufista, congressista (e qualquer hospedeiro e escória da humanidade).
E, deixe para fora, também, aquele, com ou sem anel – angustiado, que espia e ama falar (bem ou mal) da vida alheia, seja em casamento, reunião de pais e mestres, formatura, churrasco, encontro eleitoral, beneficente e orgiástico, aniversário, dia das mães, dia dos pais, natal, ano novo, reunião pedagógica ou velório, esteja no cabeleireiro e Câmara, sinagoga, mesquita, templo e terreiro, SPA, clínica e academia, condomínio e favela, avião, ônibus, elevador, escada, portão, porta e janela, corredor e sala de espera, mercado e escola, boteco, clube, novela, TV, jornal, revista, Internet e ordem secreta (e qualquer maledicente em qualquer viela escura e sufocante da sociedade).
E deixe, também, o que ama flores – e outras coisas indizíveis de plástico, diplomas pendurados, relação solitária, artificial, virtual e via telefone, e o que suga o tempo alheio, a vida alheia, principalmente, de seus familiares, e o que não paga pensão alimentícia, e o que transforma uma mulher bonita em bibelô e trofeuzinho ou escrava e zumbi. Porque esses falam de mulher como de uma coisa ou ser inferior – ah, filho, este é o pior! É tão imbecil e inútil que não acredita em amor de pupilas, lábios, pão e umbigo; não acredita em Poesia, música, suor, intimidade e comunhão! E não sabe nem acredita que haja múltiplos vôos femininos. Para ele – que tranca a adega, o vinho é para negócios, ostentação e frescura. E não para ungir o umbigo e a boca de uma mulher. Este jamais leu cada uma das linhas do Cântico dos Cânticos nem sabe coisa alguma da Criação e, menos ainda, da Creação!
Então, abra a sua casa para poetas, músicos e mulheres-Poesia. Homens, só os de caráter humano, moderados na Torá e nos Nevi’im, porque a luz está (e virá com eles) e não criarão obstáculos para o seu crescimento diante do Eterno. Hai capito? Porém, não seja impiedoso, tenha misericórdia daquele que desconhece o céu, a terra, o mar, o inferno e o paraíso, e nunca perdeu o sono, nem contou estrelas, nem parou diante da lua, nem se deixou à brisa e nunca viu anjos e demônios nem olhou o vazio, nem riu à toa, nem chorou à toa, nem xingou à toa, e nunca viu uma casinha no campo vazia e abandonada, nem pôs as mãos à boca diante de uma cama e de um espelho antigos, nunca possuiu asas de arcanjo ou de inseto, para voar sobre oceanos nem quis escalar montanha alguma. Ele desconhece o material de que a alma é formada. Misericórdia, filho! Ele é insípido porque não amou nem foi amado, ainda!
Va bene, figlio mio, va bene, não é tudo! Por agora descanse, e quando estiver diante do Eterno, cubra-se com seu Talit e Kipá. E quando estiver com sua família, ponha sobre a sua mesa o pão feito em casa. Rasgue-o com as mãos, as mesmas que tocam a Mezuzá – nunca com faca. O pão puro sem as injustiças! O pão sem a liberdade de outrem, nem a fome, a cárie ou a privação de outrem, nem a nudez ou a dignidade de outrem, nem a opressão sobre outrem, nem a tristeza ou dor de outrem. O pão sem o corpo, a alma, o espírito e as afeições de outrem, nem o sangue ou a vida de outrem. A mesa deve ser simples. O seu pão, suado. E as suas mãos, filho, justas!
Pietro Nardella-Dellova, Ao Figlio e la Piccola Caffeteria, in A Morte do Poeta nos Penhascos e Outros Monólogos. São Paulo: Editora Scortecci, 2009, p. 35)
Pietro Nardella-Dellova é Poeta, Professor, Escritor e Pesquisador. É Doutor e Mestre em Direito/Filosofia do Direito (pela UFF – Universidade Federal Fluminense e pela USP – Universidade de São Paulo). Doutor e Mestre em Ciência da Religião/Literatura/Judaísmo (pela PUC/SP). Pós-graduado em Literatura. Pós-graduado em Direito Civil e Processo Civil. Graduação em Filosofia e Bacharel em Direito. Pós-doutoramento PUC/SP.
Professor, desde 1990, de Filosofia, Literatura, Ciência Política, Direitos Humanos, Direito Civil e Direito Hebraico. Atuou na Advocacia Operária no Sindicato dos Trabalhadores/CUT. De 2000 a 2011, foi Coordenador Acadêmico de Cursos de Direito. Desde 2004, atua também na Pesquisa CNPq “Direito Civil Constitucional, Teorias Críticas, Direitos Humanos e Educação Jurídica” e “Direito e Religião”. Bolsista CAPES, e Pesquisador do GP CNPq/PUC-SP do Programa de Estudos Pós-graduados em Ciência da Religião da PUC/SP.
Professor de Direito Civil e Filosofia do Direito, assim como Coordenador do Curso “Análise Econômica do Direito”, na EMERJ – Escola da Magistratura do Estado do Rio de Janeiro. É Autor de vários livros, entre os quais, DIREITO CIVIL REL OBRIGACIONAIS, Vol 2 (2024); DIREITO CIVIL TGDC, Vol 1 (2023); DIREITO CIVIL-CONSTITUCIONAL (2023); “PIERRE PROUDHON E SUA TEORIA CRÍTICA DO DIREITO: PROUDHONISMO, PROPRIEDADE E KIBUTZIM” (2021); DIREITO, MITO E SOCIEDADE (2020); ANTROPOLOGIA JURÍDICA (2017). Publicou os livros de Poesia AMO; NO PEITO; ADSUM e o A MORTE DO POETA NOS PENHASCOS (2009). Foi Articulista convidado pela Folha de SP (1990-1992), da Revista Z, (2000-2014). Prepara os livros JUDAÍSMO E DIREITOS HUMANOS (no prelo) e CRISE SACRIFICIAL DO DIREITO, UM ESTUDOS DOS SACRIFÍCIOS HUMANOS, ABUSO DA PROPRIEDADE, DIREITO SACRIFICIAL E JUSTIÇA.
É Coordenador da REVISTA DE DIREITO CIVIL CONSTITUCIONAL. Apoia o Grupo Martin Buber (Judaísmo, Islamismo e Diálogo entre Israelenses e Palestinos), Itália, e o Grupo MUSLIM-JEWISH SOLIDARITY COMMITTEE, de NY. Membro das Comissões da OAB (Bioética; Direito e Liberdade Religiosa, OAB/SP, e do Conselho de Notáveis da OAB/BC, SC); membro da UBE, União Brasileira dos Escritores, SP, e da Accademia Napoletana, Napoli. Desenvolveu estudos no Seminário Rabínico Latinoamericano Rabino Marshall T. Meyer, de Buenos Aires, Argentina.
Atualmente está ligado à HUJI – Universidade Hebraica de Jerusalém, Israel, onde desenvolve estudos sobra a Filosofia e Educação Judaicas e suas conexões com os Direitos Humanos.
É Pesquisador do Programa de Estudos Pós-graduados (pós-doutoramento) da PUC/SP no tema “Religião, Ciência Política e Neofascismo”